venerdì 19 aprile 2013

Come Gli Atomi Emettono Luce

Il titolo del post "Come gli atomi emettono luce" è ispirato dalla seguente immagine, potente nella sua semplicità descrittiva (fonte immagine: http://www.lif.co.uk/lamp-guide/light.html).



L'immagine descrive la collisione tra una particella in movimento e un atomo. Tale collisione "eccita" l'atomo, provocando il salto di un elettrone ad un livello energeticamente più alto. La diseccitazione dell'atomo fa ritornare l'elettrone al suo livello energetico iniziale con emissione di un quanto di luce, o fotone.

Ma proviamo a capirne un po' di più mediante una breve analisi retrospettiva circa la storia dei modelli atomici, tra cui in particolare il modello atomico di Bohr.


Voi alunni di 2°B  e 3°B, avete studiato il modello atomico di Bohr, il fisico danese che descrisse, nel 1913, come si comportano gli elettroni orbitanti attorno al nucleo di un atomo e come "funzionano" gli atomi.
Qualche anno prima, e precisamente nel 1909, l'esperimento di Rutherford, svolto presso l'Università di Manchester per validare il modello a panettone di Thomson (plum pudding model), aveva fornito dei risultati inaspettati e contrastanti rispetto a tale modello.


Una rappresentazione schematica del modello atomico di Thomson, anche detto modello a panettone. In tale modello, i "corpuscoli" (ovvero le particelle cariche negativamente, i moderni elettroni) erano sistemati in maniera non casuale, in anelli rotanti. Fonte immagine.
Rutherford stesso svolse, infatti, nel 1911, un'analisi (vedi Scattering Rutherford) da cui scaturì che il modello atomico a panettone di J. J. Thomson non era corretto. Il nuovo modello prevedeva la concentrazione della maggior parte della massa atomica in un volume relativamente piccolo rispetto alle dimensioni dell'atomo (ossia un nucleo atomico) e la presenza di elettroni orbitanti attorno ad esso, come i pianeti del sistema solare attorno al sole.


Modello atomico planetario di Rutherford. Fonte immagine

Il modello atomico, proposto da Rutherford, risultò in contrasto con quanto previsto dalle leggi dell'elettrodinamica classica e pose le basi per la costruzione del modello atomico di Niels Bohr, spiegabile attraverso la meccanica quantistica. Ciò contribuì a porre le basi della vecchia teoria dei quanti.

Il modello dell'atomo di Bohr si basa sull'osservazione delle righe degli spettri degli elementi più semplici.


Proiettiamoci nei primi anni del 20° secolo, quando il giovane fisico danese Niels Bohr arrivò a Cambridge, in Inghilterra, determinato a studiare la struttura degli atomi.
Nel 1912, egli propose un nuovo radicale modello grazie al quale risolse il mistero degli spettri atomici.
Il nostro geniale giovanotto iniziò studiando lo spettro dell'idrogeno, il più semplice degli elementi.


Nel 1912, i fisici avevano già capito che l'idrogeno era costituito da un singolo elettrone (carico negativamente) orbitante intorno a un singolo protone carico positivamente al centro dell'atomo (nucleo). Non erano, tuttavia, a conoscenza di altro. La struttura dell'idrogeno e di altri atomi era avvolta in una nuvola di mistero. La posizione e il moto dell'elettrone, nonché il suo ruolo nell'emissione e nell'assorbimento di luce, non erano ancora completamente chiari. I vari modelli atomici, sperimentati dai fisici, avevano fallito in un modo o nell'altro, allorché arrivò Bohr.



Fonte immagine

Bohr immaginava che il protone, in un atomo di idrogeno, fosse circondato da orbite elettroniche distinte. Queste erano come tracce circolari attorno al nucleo che guidavano il movimento degli elettroni. A rendere il modello di Bohr così radicalmente innovativo fu l'assumere le orbite come "quantizzate", il che prevede la presenza di percorsi orbitali solo in determinate posizioni. Ci potrebbe essere un'orbita con un raggio (distanza dal protone) di 0,1 nanometri e un'altra con un raggio di 0,4 nanometri, ma mai una intermedia. Ciò rappresentò un grande balzo in avanti.

Nel modello di Bohr, c'era una relazione tra l'energia delle orbite di un elettrone e il loro raggio. Poiché le orbite sono quantizzate, esse potrebbero essere etichettate come n = 1, 2, 3 ..., con l'elettrone sempre più lontano dal protone all'aumentare di n. Quando l'elettrone si trova in una particolare orbita, che chiameremo orbita "n-esima", Bohr trovò che l'energia che lo lega al protone è data da:



En = E1 (1/rn^2)

dove E1 è l'energia della più piccola orbita (chiamata anche stato fondamentale).
In parole brevi, questa formula dice che l'energia dell'orbita n-esima è uguale all'energia della prima orbita diviso per il quadrato del raggio dell'orbita ennesima. Si noti come l'energia "di legame" di ogni orbita è direttamente correlata alla sua distanza dal nucleo. Così, l'energia di un'orbita si avvicina a zero quanto più l'elettrone è lontano dal protone. Questo modo di definire energia di legame implica che le orbite più alte (quelle più lontane) sono dotate di energia meno vincolante. Una energia di legame pari a zero significherebbe che l'elettrone è stato liberato dal protone e potrebbe andarsene in giro da solo.

Con il suo modello di atomo, Bohr fu in grado di spiegare il perché delle strane righe spettrali di emissione e assorbimento dell'idrogeno.

Bohr propose che, se un elettrone si trovasse in una grande orbita (n grande),  potrebbe spontaneamente "saltare" su di un'orbita più bassa. "Cadendo" più vicino al protone, l'elettrone rilascerebbe energia sotto forma di una particella di luce (chiamata fotone). Poiché vi era soltanto un insieme di possibili orbite molto ben definito e preciso, risultava ben definito anche il numero di possibili salti verso il basso di un elettrone. Ciò significava che l'energia dei fotoni emessi era altrettanto ben definita. L'idea è riassunta dalla seguente formula:

Esalto = Esuperiore - Einferiore

Questa equazione dice che l'energia del fotone emesso è uguale alla differenza tra l'energia dell'orbita superiore (stato stazionario superiore), in cui l'elettrone si trovava inizialmente, e quella dell'orbita inferiore (stato stazionario inferiore consentito) in cui è saltato giù. Ricordiamo che le righe spettrali di emissione mostravano luce soltanto di determinate lunghezze d'onda. Come fece il modello di Bohr a fornire previsioni per le lunghezze d'onda? I fisici (come Einstein) avevano già dimostrato l'esistenza di una relazione tra l'energia di un fotone e la sua lunghezza d'onda:

Efotone = 1240 eV*nm/lambda

in cui il simbolo greco "lambda" rappresenta la lunghezza d'onda della luce misurata in Nanometri (nm) ed eV significa elettronvolt, che è una unità di misura dell'energia (così eV*nm o "electron volt*nanometri" sono le unità dell'equazione).
In sintesi, questa equazione dice che l'energia del fotone emesso è pari a 1240 elettronvolt*nanometri diviso per la lunghezza d'onda del fotone. Secondo tale equazione, la luce rossa (che ha una lunghezza d'onda lunga) deve avere una energia relativamente bassa e la luce blu (che ha una lunghezza d'onda corta) deve avere energia relativamente alta.

Nel modello di Bohr,l'energia che l'elettrone rilascia, saltando da un'orbita all'altra, deve essere uguale all'energia del fotone emesso (Esalto = Efotone). Con un minimo di calcoli algebrici si può vedere il rapporto tra l'energia di salto (o transizione di orbita) e la lunghezza d'onda lambda del fotone emesso:

lambda1240 eV*nm/ Esuperiore - Einferiore

Quindi la lunghezza d'onda del fotone emesso deve uguagliare 1240 elettronvolt*nanometri diviso per la differenza di energia delle orbite. La cosa sorprendente di questa formula è che predisse esattamente tutte le lunghezze d'onda delle righe di emissione dell'atomo di idrogeno.

Le righe spettrali di assorbimento erano così diventate facili da spiegare. Immaginate un atomo di idrogeno inondato dalla luce dall'esterno e che la luce avesse fotoni di tutte le diverse lunghezze d'onda (ad esempio, l'arcobaleno). Nel modello di Bohr, un elettrone di un'orbita più bassa potrebbe saltare ad un'orbita più alta, assorbendo un fotone in ingresso avente proprio l'energia giusta (cioè la lunghezza d'onda). I "salti quantici" alle orbite più alte, tramite l'assorbimento di fotoni, sono ciò che conferisce agli spettri di assorbimento l'aspetto di un modello ad arcobaleno con linee scure.

I risultati raggiunti da Bohr sono stati fondamentali. Egli aveva spiegato con successo le strane righe spettrali di emissione e di assorbimento ed aveva creato il primo modello di lavoro per la struttura dell'atomo. Bohr divenne un leader in una rivoluzione che inaugurava il nuovo campo della "fisica quantistica", lo studio del micro-mondo. Dobbiamo 
all'intuizione di Bohr gran parte delle basi per lo studio della fisica atomica e sub-atomica. L'enorme successo si ebbe a costo di abbandonare un certo grado di intuizione legata al "senso comune".

Nel modello atomico di Bohr, l'elettrone può stare soltanto su orbite predefinite. Anche quando salta "scomparendo" da un'orbita, ricompare in un'altra orbita senza mai occupare lo spazio intermedio.

Di seguito un'immagine dello spettro dell'Idrogeno (fonte: http://hyperphysics.phy-astr.gsu.edu/hbase/hyde.html#c4):


Nella figura, a sinistra, c'è la formula di J. Balmer, (fisico e matematico svizzero) che dal 1885 consente di calcolare i valori delle frequenze emesse dall'Idrogeno.
Nel 1885 egli dedusse, infatti, sulla base di un gran numero di dati sperimentali determinati in precedenza da tutta una generazione di spettroscopisti, la formula che descrive la serie spettrale che porta il suo nome. Questa formula, nelle sue successive generalizzazioni, costituì poi per N. Bohr la base per lo studio della struttura dell'atomo.

Lo stato fondamentale dell'idrogeno corrisponde alla piccola orbita n=1, osservabile al centro dell'immagine.
Le righe dello spettro visibile (serie di Balmer) corrispondono alle transizioni alla seconda orbita (n=2).
Si può anche osservare la serie di righe nell'ultravioletto (serie di Lyman), corrispondente alle transizioni da qualunque stato a quello fondamentale, ed infine una serie nell'infrarosso, corrispondente a tutte le transizioni (meno energetiche) alla terza orbita (serie di Paschen).

Per finire, vi propongo l'interessante filmato "Spectral  Lines" in cui viene spiegata la formazione dello spettro dell'Idrogeno con il ricorso ad un modello di atomo successivo, in cui le orbite dell'atomo di Bohr sono sostituite dagli orbitali.

3 commenti:

  1. Gran bel post: interessante ed ottimamente presentato.
    L'immagine che ti ha ispirata è (come dici tu) "potente nella sua semplicità descrittiva" ma, soprattutto per i ragazzi e per i non "esperti", la storia e la spiegazione che ne sono scaturite sono estremamente utili per comprendere correttamente. Per me un bel ripasso con qualche dato/informazione in più; novità sempre gradite per ampliare la sempre insufficiente conoscenza.
    Un salutone
    Marco

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    1. Grazie dell'apprezzamento, Marco. Un feedback positivo è sempre gratificante.

      Un salutone
      Annarita

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  2. Anche se so che sono passati diversi anni, ci tengo a darle il riscontro perché so quanto siano di conforto! Bell'articolo, non sono esperto di chimica ma ho un blog di astronomia divulgativa per passione, quindi le rubo l'immagine iniziale dell'emissione fotone perché mi serve giusto ora per un post che sto preparando, multiplo sulle Aurore. Grazie ancora e complimenti!

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