giovedì 10 febbraio 2011

Where Good Ideas Come From (Da Dove Provengono Le Buone Idee)

Steven JohnsonSteven Johnson (1968) è un noto giornalista e scrittore statunitense, autore di numerosi libri, i cui contenuti coniugano le connessioni tra scienza, tecnologia ed esperienza personale.

Vive  a New York e scrive per numerosi e autorevoli periodici americani, tra cui Discover, Wired, Slate e il New York Times.



E' autore del bestseller mondiale Mind Wide Open: Your Brain and Neuroscience of Everyday Life.

Un altro dei suoi libri più conosciuti è  Everything Bad Is Good for You,  tradotto anche in italiano con il titolo Tutto quello che fa male ti fa bene.

Studioso di scienze cognitive e divulgatore degli sviluppi delle nuove tecnologie, con Tutto quello che fa male ti fa bene, dimostra in modo provocatorio ed accattivante, che il paradossale episodio, raccontato da Woody Allen nel film Il dormiglione [1] (leggere la nota alla fine del post), non è affatto così inverosimile se si considerano i più popolari mezzi di intrattenimento. Esiste nelle nostre società una forza che sta rendendo le nuove generazioni più pronte delle precedenti ed è fatta da tutte quelle forme di divertimento di cui ci hanno sempre insegnato ad aver paura.

Si può o meno condividere il pensiero di Johnson, ma è innegabile che la forza delle sue idee esercita un certo tipo di fascino.

Johnson è stato speaker al TED, da cui è tratto il filmato Where Good Ideas Come From, che in italiano diventa Da dove provengono le buone idee.

Il video è fornito di sottotitoli in lingua italiana, selezionabili da view subtitles.






Di seguito la traduzione dell'intervento in lingua italiana, che vale la pena leggere con attenzione.


Solo qualche minuto fa, ho scattato questa foto a circa 10 isolati da qui. Questo è il Grand Cafe, qui a Oxford. Ho scattato questa foto perché si tratta della prima caffetteria aperta in Inghilterra, nel 1650. E' il suo motivo di vanto. Volevo mostrarvela, non perché voglio farvi fare il tour delle caffetterie più in voga della vecchia Inghilterra, ma piuttosto perché le caffetterie inglesi sono state cruciali per lo sviluppo e la diffusione di uno dei grandi fermenti intellettuali degli ultimi 500 anni, che ora chiamiamo Illuminismo.

Il ruolo delle caffetterie è stato tale nella nascita dell'Illuminismo, in parte grazie a ciò che la gente vi beveva. Questo perché, prima della diffusione del caffè e del tè nella cultura britannica, la gente beveva - ricchi e poveri - ogni giorno, a tutte le ore, alcol. Gli alcolici andavano bene in ogni momento. Un po' di birra a colazione, un goccio di vino a pranzo, un bicchierino di gin - in particolare nel 1650 - un altro po' di vino e birra a fine giornata. Era la scelta più sana, certo, perché l'acqua non era sicura da bere. Così, infatti, fino all'arrivo delle caffetterie, l'intera popolazione era quotidianamente sbronza. Potete immaginare l'effetto a livello personale, giusto? E qualcuno di voi lo sa per certo - se trascorreste le giornate a bere, e poi passaste da un depressore a uno stimolante nella vostra vita- avreste idee migliori. Sareste più acuti e attenti. Non è quindi casuale l'esplosione di innovazione avvenuta quando l'Inghilterra passò a bere té e caffé.

Ma l'altro motivo che rende le caffetterie importanti è l'architettura degli spazi. Si trattava di spazi dove la gente si riuniva, proveniente da contesti diversi, diversi ambiti di conoscenza, per condividere. Si trattava di spazi dove, come disse Matt Ridley, le idee potevano accoppiarsi. Era il loro letto matrimoniale, in un certo senso. Era dove le idee si incontravano. Un numero incredibile di innovazioni nate in questo periodo hanno una caffetteria da qualche parte nella loro storia.

Ho passato un sacco di tempo a pensare a questi luoghi negli ultimi 5 anni, perché mi sono posto questa missione di investigare la questione di dove provengono le buone idee. Quali sono gli ambienti che portano a livelli atipici di innovazione, livelli non comuni di creatività? Quali variabili ambientali, quali luoghi promuovono la creatività? Ciò che ho fatto è stato guardare sia gli spazi come le caffetterie, sia gli spazi multimediali come il World Wide Web, che sono stati straordinariamente innovativi; ho ripercorso la storia delle prime città; ho persino indagato sugli ambienti biologici, come le barriere coralline e le foreste pluviali, che mostrano livelli altissimi di innovazione biologica; e sono andato alla ricerca degli elementi in comune, dei comportamenti che si ripropongono ogni volta in questi ambienti. Vi sono forse schemi ricorrenti da cui possiamo imparare, che possiamo acquisire e applicare alle nostre vite, alle nostre istituzioni, o ai nostri ambienti per renderli più creativi e innovativi? Io credo di averne trovati alcuni.

Ma il modo per venirne a capo e capire veramente questi principi è quello di lasciar perdere alcuni dei modi con cui le nostre tradizionali metafore e linguaggio ci guidano verso certi aspetti della nascita delle idee. Abbiamo un lessico ricchissimo per descrivere momenti d'ispirazione. Abbiamo il lampo dell'insight, il colpo di genio, abbiamo le epifanie, e i momenti "Eureka!", abbiamo la lampadina che si accende, giusto? Ognuno di questi concetti, per quanto retoricamente brillanti, condividono il seguente presupposto, cioè che un'idea è una cosa singola, qualcosa che capita, spesso in un momento di meravigliosa illuminazione.

In realtà, direi piuttosto, e voi dovreste iniziare ad accettarlo, è che un'idea è un network al livello più elementare. Cioè, ecco cosa avviene dentro il vostro cervello. Un'idea, una nuova idea, è una nuova rete di neuroni che sparano in sincronia nel cervello. E' una configurazione nuova, che non si era mai formata prima. E la mia domanda è: "Come possiamo procurare al nostro cervello ambienti in cui queste nuove reti hanno maggiori probabilità di formarsi?" Risulta che i tipi di network del mondo esterno riproducono largamente i circuiti del mondo interno al cervello umano.

La metafora che mi piace proporre la prendo dalla storia di una grande idea, abbastanza recente, molto più recente del 1650. Un tizio straordinario di nome Timothy Prestero, che possiede un'azienda... un'organizzazione chiamata "Design che Conta". Hanno deciso di affrontare questo grandissimo problema, sapete, il terribile problema della mortalità infantile nei paesi in via di sviluppo. Una delle cose veramente frustranti a proposito è che sappiamo che, installando incubatrici moderne per neonati in tali contesti, se riuscissimo, semplicemente, a tenere al caldo i neonati prematuri, potremmo dimezzare le percentuali di mortalità infantile in quei paesi. Quindi, la tecnologia c'è. E' uno standard nel mondo industrializzato. Il problema è, se compri un'incubatrice da $ 40.000, e la spedisci in un villaggio in Africa, funzionerà alla grande per uno, due anni, poi qualcosa andrà storto e si romperà, e rimarrà rotta per sempre, perché manca l'intera rete di pezzi di ricambio, e mancano i tecnici specializzati in sito per riparare tale unità da $ 40.000. Alla fine si ha il problema di un sacco di soldi spesi per portare aiuto e tecnologie avanzate in questi paesi, che alla fine risultano inutili.

Ciò che Prestero e colleghi hanno deciso di fare è stato di guardare in giro: quali risorse abbondano in questi contesti in via di sviluppo? La gente non dispone di registratori DVD, né di forni a microonde, ma se la cavavano molto bene nel mantenere in funzione le vetture. C'è un SUV Toyota che circola in ognuno di questi posti. Sembra che abbiano le competenze per mantenere in funzione le automobili. Hanno quindi pensato, "Sarebbe possibile costruire un'incubatrice fatta interamente di parti di automobile"? E questo è ciò che sono riusciti a fare. Si chiama dispositivo neocultore. Da fuori, sembra un normale apparecchietto che trovereste in un moderno ospedale occidentale. Dentro, sono tutte parti di automobile. Ha una ventola, fari per riscaldare, segnalatori acustici di portiera come allarme. E' alimentato dalla batteria di una macchina. Bastano solo i pezzi di ricambio della tua Toyota e l'abilità di riparare un fanale, e l'apparecchio si può riparare. Ora, questa è una bellissima idea, ma intendo dire che questa è un'ottima metafora per capire come arrivano le idee. Ci piace pensare che le nostre idee brillanti siano come un'incubatrice nuova di zecca da $40.000, lo stato dell'arte della tecnologia, ma, ben più spesso, sono assemblate con qualunque cosa sia disponibile nelle vicinanze.

Prendiamo idee dagli altri, da gente da cui abbiamo imparato, da gente incontrata al bar, e le cuciamo insieme dando loro nuova forma, creando qualcosa di nuovo. E' lì che si ha veramente l'innovazione. Ciò significa che dobbiamo cambiare alcuni dei nostri modelli di concezione dell'innovazione e del pensiero produttivo, ok? Questo è un modo per farlo. Un altro è quello di Newton e la mela, quando Newton era a Cambridge. Questa è una sua statua a Oxford. Te ne stai lì seduto a riflettere, e la mela cade dall'albero, ed ecco la teoria della gravità. Invece, gli spazi che storicamente hanno portato all'inovazione tendono a somigliare più a questo, ok? Questo è il famoso dipinto di Hogarth di una consulta politica in osteria, che è esattamente come si presentavano le caffetterie a quell'epoca. Questo è il tipo di ambiente caotico dove le idee potevano incontrarsi, dove le persone potevano avere nuove, interessanti e imprevedibili collisioni, provenendo da ambiti diversi. Quindi, se stiamo cercando di costruire istituzioni più innovative, dobbiamo costruire spazi che, stranamente, assomigliano di più a questo. Ecco come dovrebbe apparire il vostro ufficio, è parte del mio messaggio stasera.

Una delle difficoltà incontrate è che le persone in realtà - quando si studiano queste cose - sono notoriamente poco attendibili nel riportare il dove le proprie buone idee hanno avuto luogo, o la storia della loro nascita. Qualche anno fa, un ottimo ricercatore chiamato Kevin Dunbar decise di aggirare l'ostacolo e adottare un approccio tipo Grande Fratello per scoprire da dove provenissero le buone idee. Frequentò una serie di laboratori sperimentali in giro per il mondo e filmò ognuno mentre svolgeva ogni singolo aspetto del proprio lavoro. Quindi mentre sedevano di fronte al microscopio, mentre parlavano con un collega alla colonnina dell'acqua, cose così. E registrò ognuna di queste conversazioni cercando di individuare dove erano saltate fuori le idee migliori, dove erano nate. Quando pensiamo alla classica figura dello scienziato in laboratorio, ce la immaginiamo, sapete, chino sul microscopio, e poi vedono qualcosa nel tessuto osservato. E... "Eureka!" Arriva l'idea.

Ciò che Dunbar in realtà scoprì, osservando le registrazioni è che, invece, quasi tutte le idee di rilievo non nascevano isolate in laboratorio, davanti al microscopio. Nascevano al tavolo delle conferenze alla riunione settimanale del laboratorio, in cui tutti si incontravano e condividevano gli ultimi dati e scoperte, spesso mentre la gente esponeva cosa non tornava, l'errore, l'interferenza dietro il segnale che stavano scoprendo. Riguardo all'ambiente, ho iniziato a chiamarlo il "network liquido", in cui confluiscono moltissime idee diverse, diversi ambiti di ricerca, diversi interessi, che si urtano e rimbalzano l'uno sull'altro. E' questo quindi l'ambiente che porta all'innovazione.

Un'altra difficoltà che le persone incontrano sta nella tendenza a condensare le proprie storie di innovazione in lassi di tempo più brevi. Desiderano raccontare la storia di quel momento "Eureka!" Desiderano dire: "Ero lì, in piedi, e all'improvviso tutto divenne chiaro nella mia mente". Ma in realtà, se si torna indietro a rivedere il percorso storico, si scopre che moltissime idee importanti hanno avuto periodi molto lunghi di gestazione. Questo l'ho chiamato la "intuizione lenta". Recentemente si è molto sentito parlare di intuizione e istinto e di momenti subitanei di illuminazione, ma in realtà, molte grandi idee permangono, a volte per decenni, in un angolino della mente della gente. Hanno come la sensazione che vi sia una questione interessante, ma non hanno ancora gli strumenti per svelarla. Passano il tempo a lavorare su certi problemi, ma c'è qualcos'altro in sottofondo di interessante, che non riescono a risolvere.

Il caso di Darwin è un ottimo esempio. Egli stesso, nella sua autobiografia, ci racconta la storia dell'intuizione della selezione naturale come il classico momento "Eureka!". E' nel suo studio, è l'ottobre del 1838, e sta leggendo Malthus, un saggio sulla popolazione. All'improvviso, le basi dell'algoritmo della selezione naturale si materializzano nella sua mente, e dice "Finalmente, avevo una teoria su cui lavorare". Questa è la sua autobiografia. Una o due decadi fa, il brillante accademico Howard Gruber tornò sull'argomento e studiò i quaderni di Darwin di quel periodo. Darwin aveva quaderni fitti di annotazioni in cui esponeva ogni singola idea, ogni piccola intuizione. Gruber scoprì che Darwin aveva già l'intera teoria della selezione naturale da molti mesi prima della sua presunta epifania, leggendo Malthus nell'ottobre del 1838. Vi sono passaggi in cui, leggendo, si ha l'impressione di avere davanti un manuale sul darwinismo, e ciò risale a un periodo precedente tale epifania. Si capisce quindi che Darwin, in un certo senso, aveva l'idea, aveva il concetto ma non era ancora capace di mettere il tutto insieme. Ed è così che spesso nascono le grandi idee; rimangono sfocate per lunghi periodi di tempo.

Ora, la sfida per ognuno di noi è: "Come facciamo a creare ambienti che permettano a queste idee di maturare più rapidamente?" Non è semplice andare dal proprio capo e dire "Ho un'ottima idea per la nostra organizzazione aziendale. Ci sarà molto utile nel 2020. Posso avere un po' di tempo per dedicarmi a questo"? Ora un paio di compagnie, come Google, dedicano del tempo libero all'innovazione, circa il 20% del tempo, che, in certo senso, è un sistema per coltivare le intuizioni all'interno di una organizzazione. E' un elemento chiave. L'astro aspetto è quello di permettere a tali intuizioni di connettersi a quelle di altre persone; così avviene di solito. Tu hai una mezza idea, un altro ha l'altra mezza, e se siete nell'ambiente giusto, diventano qualcosa più grande della somma delle loro parti. Quindi, in un certo senso, parliamo spesso dell'importanza di proteggere la proprietà intellettuale, sapete, alzando barriere, laboratori segreti di ricerca e sviluppo, brevettando ogni cosa, in modo che tali idee rimangano profittevoli, incentivando così la gente ad avere sempre nuove idee, e innovando infine la cultura. Io ritengo però che sia il caso di investire almeno la stessa quantità di tempo, se non di più, nella direzione di connettere le idee e non soltanto di proteggerle.

Vi lascio con questa storia, che secondo me cattura molti di questi valori, ed è un meraviglioso esempio di storia di innovazione, e di come avvenga in modi improbabili. E' l'ottobre del 1957, e lo Sputnik è appena stato lanciato, e siamo a Laurel, Maryland, nel laboratorio di fisica applicata associato alla John Hopkins University. E' un lunedì mattina, e si è appena diffusa la notizia di questo satellite che ora gira attorno al pianeta. E certo, siamo nel paradiso dei cervelloni, giusto? Ci sono tutti questi strambi fisici che pensano, "Oddio! E' incredibile. Non ci posso credere". E due di loro, due ricercatori poco più che ventenni del laboratorio sono al tavolo della mensa a chiacchierare con degli altri colleghi. Questi due tizi si chiamano Guier e Weiffenbach. Parlano, e uno dei due dice: "Ehi, c'è qualcuno che ha cercato di ascoltare i segnali di questo coso?". Capite, lassù nello spazio c'è questo satellite fabbricato dall'uomo che chiaramente trasmette un qualche tipo di segnale. Forse potremmo ascoltarlo, se ci sintonizzassimo". E così chiedono in giro a un paio di colleghi, e tutti rispondono "No, non ci avevo pensato... E' una bella idea".

Risulta che Weiffenbach è una specie di esperto nella ricezione di microonde, e ha, nel suo ufficio, una piccola unità di ricezione collegata a un amplificatore. Così Guier e Weiffenbach tornano in ufficio da Weiffenbach, e iniziano a giocarci, oggi diremo a fare un po' di hacking. Dopo un paio d'ore, iniziano veramente a ricevere il segnale, perché i sovietici avevano reso lo Sputnik molto semplice da rintracciare. Era esattamente a 20 MHz, così da poterlo trovare facilmente, perché temevano che la gente pensasse si trattasse di una bufala. Lo resero quindi facilissimo da individuare.

E quindi questi due tizi sono lì seduti ad ascoltare il segnale, e la gente inizia a venire in ufficio e a dire: "Wow, che figata. Fammelo sentire. Grandioso". E subito dopo, pensano: "Ma questa è una cosa storica. Forse siamo le prime persone negli USA ad ascoltare questo segnale. Dovremmo registrarlo". E così portano questo grosso, rozzo registratore analogico a cassette, e iniziano a registrare tutti questi blip, blip. E iniziano a segnare la data e l'ora di ciascun blip registrato. E pensano: "Caspita, qui ci sono delle piccole variazioni di frequenza. Forse potremmo calcolare la velocità di orbita del satellite, se facciamo qualche calcolo considerando l'effetto Doppler". E ci giocano ancora un po', e ne parlano con qualche altro collega con altre specializzazioni. E dicono: "Sai cosa? potremmo forse analizzare l'inclinazione dell'effetto Doppler per calcolare i punti in cui il satellite è più vicino alle nostre antenne e i punti in cui è più lontano. Che figo"!

Ottengono così il permesso - è un progetto parallelo che nulla ha a che fare con il loro lavoro ufficiale- di utilizzare il nuovo, sapete, computer UNIVAC grosso come una stanza, appena arrivato in laboratorio. Macinano ancora un po' di dati, e, alla fine di 3-4 settimane, risulta che hanno mappato la traiettoria precisa del satellite intorno alla Terra, partendo dal semplice ascolto di quel piccolo segnale e da quella piccola intuizione, che avevano deciso di seguire quella mattina a pranzo.

Un paio di settimane dopo, il loro capo Frank McClure li convoca in ufficio e dice: "Ragazzi, vi devo chiedere una cosa riguardo a questo progetto su cui state lavorando. Avete individuato una posizione ignota di un satellite in orbita attorno al pianeta partendo da una posizione nota sulla terra. Riuscireste a fare il contrario? Sarebbe possibile individuare una posizione ignota sulla terra, conoscendo la posizione del satellite?" Ci pensano un'attimo e dicono: "Beh, crediamo di sì. Proviamo a fare dei calcoli". Vanno in ufficio e ci pensano. Poi tornano e dicono: "In verità, sarebbe ancora più semplice". E il capo: "Ok, grandioso. Perché vedete, ho questi nuovi sottomarini nucleari in costruzione. E' molto complesso stabilire come indirizzare i missili in modo che finiscano esattamente su Mosca, se non si sa dove si trova il sottomarino, in mezzo all'Oceano Pacifico. Stiamo pensando di lanciare in orbita alcuni satelliti e di usarli per rintracciare i nostri sommergibili e stabilire la loro esatta posizione in mezzo all'oceano. Potreste occuparvene voi?"

Ed è così che nasce il GPS. 30 anni dopo, Ronald Reagan lo mise a disposizione e lo rese una piattaforma aperta, che chiunque poteva mettere a frutto per sviluppare nuove tecnologie, per creare e innovare, basandosi su questa piattaforma aperta, resa disponibile a chiunque per farci qualsiasi cosa gli fosse venuto in mente. E ora, ve lo garantisco, metà di questa sala per certo, se non di più, ha, proprio ora, in tasca, un dispositivo che sta comunicando con uno di quei satelliti nello spazio. E scommetto che uno di voi, se non di più, ha utilizzato detto dispositivo e sistema satellitare per localizzare la più vicina caffetteria (Risate)
nell'ultimogiorno o settimana, giusto?

(Applausi)

E questo è, secondo me, un ottimo esempio, una grande lezione, sul potere... il meraviglioso, non pianificato, emergente, imprevedibile potere, dei sistemi innovativi aperti. Se fatti bene, saranno condotti in direzioni del tutto nuove rispetto a quelle immaginate dai loro creatori. Voglio dire, c'erano questi tizi che in pratica pensavano di seguire un'intuizione, una piccola nuova passione, poi hanno creduto di essere sul fronte della Guerra Fredda; alla fine risulta che stanno semplicemente aiutando qualcuno a trovare un cappuccino d'orzo.

(Risate)

E' così che arriva l'innovazione. La fortuna aiuta la mente connessa.

Grazie mille.

(Applauso)


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[1] Quella che segue è la sintesi del pensiero di Steven Johnson, espresso nel libro Tutto quello che fa male ti fa bene.

Nel film Il dormiglione, un gruppo di scienziati del 2173 si domandava stupito come fosse possibile che la gente del  ventesimo secolo non avesse compreso le straordinarie proprietà nutritive delle torte alla crema e delle merendine. Allo stesso modo, e senza essere gli scienziati del futuro di un film comico, oggi dobbiamo prendere atto di uno strano fenomeno: i videogiochi e la televisione ci rendono più intelligenti, anche se abbiamo sempre pensato il contrario.

I videogiochi sono diventati negli ultimi anni uno dei settori più fiorenti del business dell'intrattenimento, superando di gran lunga Hollywood e i suoi fasti, e appartengono ormai all'esperienza quotidiana di ogni adolescente. La televisione ha invaso le nostre vite in maniera irreversibile e a un primo sguardo ci sembra traboccare di programmi stupidi, destinati a danneggiare l'intelligenza di chi li segue.
E così, in un caso come nell'altro, ci sentiamo spesso in dovere di sconsigliare ai nostri figli di spendere troppo tempo davanti a quei "cattivi maestri", capaci, secondo un'idea tanto diffusa quanto radicata, di farci rincretinire.

Eppure molti studi scientifici dimostrano che le cose non stanno esattamente in questo modo: la cultura di massa, che tanto alla svelta abbiamo liquidato come spazzatura, a volte persino come dannosa per la salute, in realtà contribuisce ad accrescere le nostre capacità intellettive.

Naturalmente un videogame non potrà mai essere un libro, e neppure vuole esserlo. Ma i videogiochi, da Tetris a The Sims, hanno dato prova di innalzare il quoziente di intelligenza e, in generale, di ampliare le abilità cognitive degli individui più di quanto sia possibile con la sola lettura. E allo stesso modo, se ci soffermiamo ad analizzare le serie televisive di maggior successo degli ultimi anni come I Simpson o ER, scopriamo che sono costruite secondo complessi schemi narrativi e che offrono una grande quantità di stimoli intellettuali.




4 commenti:

  1. Buongiorno! cara Annarita.
    Le più grandi scoperte si dice che si fanno per caso
    Questo non lo so se è vero.

    Ma la storia sui segnali è  davvero illuminante 
    se si pensa che l'idea è nata 
    al tavolo di una mensa.
    Questa storia è davvero 
    un meraviglioso esempio di storia.

    Grazie davvero di questo post

    Un bacione 










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  2. Bellissimo, grandioso questo post!
    Sono assolutamente d'accordo su tutto!!!!
    Sdrammatizza la scoperta e la rende prodotto a più mani, come sicuramente è.
    E' la mente connessa, è l'ecologia della mente, è il network che collega le diverse intuizioni...me la rileggerò perchè mi ha entusiasmato!
    E poi lui è un GRANDE, sotto tutti i punti di vista, non trovi?

    Bacissimi
    france

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  3. Bello ed interessante questo articolo.
    Le considerazioni su come può nascere o comunque crescere in noi un'idea, fanno molto riflettere, soprattutto fa riflettere il fatto che il luogo fisico in qualche modo possa agevolare lo sviluppo o la consapevolezza dell'idea. Sicuramente i luoghi di aggragazione possono favorire la nascita di nuove idee, anche solo dal semplice fatto che relazionandosi ci si scambia informazioni ed opinioni e magari una semplicissima frase o osservazione apparentemente senza senso concreto, può far scattare la "molla" e l'idea viene fuori in maniera prepotente.
    Sono d'accordo che più che a pensare di proteggerle le idee, bisognerebbe impegnarsi a diffonderle o comunque, la creazione e lo sviluppo di luoghi d'aggregazione (fisici o digitali) potrebbe essere un ottimo stimolo per accendere il cervello.
    Altrettanto vero, almeno per me, che spessissimo le migliori idee non arrivano nel luogo preposto o supposto, ma magari ti capitano tra capo e collo nei momenti e nei luoghi più disparati.
    Una piccola lezione dalla lettura di questo articolo:
    non isolarsi, condividere, discutere, relazionarsi ed infine "sempre svegli"; l'idea potrebbe arrivare o passarci sotto il naso e noi potremmo non accorgercene.

    Ho detto probabilmente un bel mare di cavolate, ma l'articolo mi è molto piaciuto proprio perchè l'argomento é interessante e soprattutto, parlando di idee, è d'obbligo provare a ragionare (sragionare nel mio caso)

    Grande Annarita, ennesimo articolo con i fiocchi
    Grazie

    Un salutone
    Marco

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  4. Le più grandi scoperte si dice che si fanno per caso
    Questo non lo so se è vero.


    Beh, proprio per caso forse no, rosaria. Direi che certo tipo di situazioni favorevoli può risultare sicuramente determinante.

    Bacione.

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